Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. n. 17153 del 26 agosto 2015

la quaestio iuris sottoposta all’attenzione della Suprema Corte consiste nel sapere se è ammissibile, oppure no, la prova presuntiva in ambito di danno dea demansionamento. Orbene, il Supremo Collegio, premesso che “sebbene ai fini del riconoscimento del danno, anche patrimoniale, da demansionamento, è sempre necessaria la prova del pregiudizio subito”, non ha comunque escluso che “tale prova può essere anche presuntiva, non costituendo le presunzioni un mezzo di rango secondario nella gerarchia degli strumenti di prova, ben potendo pertanto essere impiegate anche in via esclusiva dal giudice per la formazione del suo convincimento (Cass. sez. un. n. 5672/06, Cass. n. 19778/14; Cass. n. 28274/08, Cass. n. 13819/2003; Cass. n. 9834/2002)”. E così, i giudici di legittimità hanno dichiarato legittima la sentenza resa inter partes dalla Corte di Appello di Roma nella parte in cui “esattamente in linea con i principi enunciati da Cass. sez. un. 6572/06, Cass. n. 4652/09 e successiva giurisprudenza, ha ritenuto provata la lesione della professionalità della C. per la sua sostanziale inattività, protrattasi per un lungo periodo di tempo (ottantaquattro mesi)”. Precisamente, i giudici di appello romano hanno correttamente valorizzato “sia la totale inattività, e dunque la più grave violazione dell’art. 2103 c.c. , cui fu costretta la C., sia l’assenza di conferimento di altri incarichi significativi, sia la notevole durata di essa (ottantaquattro mesi), valutando dunque la natura, l’entità e la durata del demansionamento”.

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