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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. n. 13693 del 3 luglio 2015

la quaestio iuris sottoposta all’attenzione della Suprema Corte consiste nel sapere se la responsabilità del datore di lavoro per aver posto in essere una pretesa condotta mobbizzante possa integrare, oppure no, gli estremi di una responsabilità di tipo oggettivo. Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto di dover escludere, ancora una volta (cfr. Cass., Sez. Lav., sentenza del 29 gennaio 2013 n. 2038, cui adde Cass., Sez. Lav., sentenza del 14 maggio 2014 n.10424), una simile configurabilità, confermando, invece, l’orientamento per cui spetta al prestatore di lavoro dimostrare in che modo la pretesa condotta illecita del datore di lavoro si sia tradotta in una violazione degli obblighi contrattuali ed extracontrattuali ex art. 2087 Cod. Civ.. Quindi, i giudici di legittimità hanno escluso “che nella fattispecie potesse configurarsi il c.d. terrorismo psicologico, o comunque, l’elemento dequalificante dell’asserito mobbing” per la determinante ragione che è rimasta del tutto indimostrata “l’esistenza degli elementi strutturali della fattispecie in sede di ricorso introduttivo, neanche corredato da alcuna istanza istruttoria sul punto”.